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ll Mistero del Toro del Lao

20 giugno, 2021 - poche ore prima del Solstizio


Il Toro del Lao rappresenta il Genius Loci della Valle del Mercure Lao. Si tratta di un graffito su un grande masso raffigurante un maestoso bovide (detto Bos primigenius). Il ritrovamento del graffito è avvenuto nel 1961, ed è stato datato dagli esperti come appartenente al Paleolitico superiore. E' una delle più antiche testimonianze dell'arte preistorica in Italia, e una delle più importanti a livello europeo.


Il graffito, formidabile, si trova all'ingresso della Grotta del Romito, nell'area di Papasidero, nella Valle del Mercure Lao. Le coordinate sono: 39° 54′ 39″ N, 15° 55′ 41″ E.


La Grotta del Romito, uno dei capisaldi della preistoria italiana, è stato oggetto di indagini da parte di Paolo Graziosi (1961-1967) e successivamente di Fabio Martini (Università di Firenze).


Ci sono due diversi capisaldi del luogo, giunti sino a noi. Se ce ne prenderemo cura, riusciremo a consegnarli alle prossime generazioni. Si tratta di due grandi massi localizzati nella zona del riparo, uno quasi all’ingresso dell’area più interna della grotta, l’altro all’esterno al limite del riparo stesso.


Sul primo ci sono delle immagini di animali, che riconosciamo tutti facilmente. Sull'altro dei tratti apparentemente inintellegibili. Apparentemente.


Oltre che per i due grandi massi e per la potente serie stratigrafica con evidenze comprese tra il Gravettiano (circa 24.000 anni fa) e la fine dell’Epigravettiano (circa 10.000 anni fa), del Mesolitico e del Neolitico, il sito è noto per la serie di inumazioni relative a nove individui. Il graffito potrebbe risalire a 11.000 anni fa circa.


Cio' dovrebbe arrestarci, e portarci a riflettere, e a rispettare i defunti di tanti secoli fa. Invece cio' non succede. La visita al Romito, al Toro, e' una visita alla tomba di uomini e donne che sono stati sepolti con onore, ma non e' questo il pensiero che prevale. Servirebbe calpestare quel suolo con reverenza.


Ci potrebbero essere altri individui inumati, ci potrebbero essere altri reperti. Con quale forma di rispetto entrano oggi i visitatori in grotta, in un santuario del Paleolitico?


Le incisioni sul masso


Sono tre:


PRIMO BOVIDE

Il reperto più e' una grande immagine di uro (Bos primigenius, un Toro) di 120 cm di lunghezza, realizzata con una profonda incisione. Il tratto e' molto deciso. Quale mano puo' scolpire in maniera cosi' decisa, senza incertezze? Quale strumento e' stato usato? Quale tipo di scalpello? E' stato usato un pantografo? Si e'trattato di un solo uomo, o di una sola donna, o di un'opera a piu'mani? Qual e'stato lo stato psicologico dell'autore? Quali rituali avevavo luogo accanto al masso? Chi ha fatto questa incisione, e a quale scopo? Cosa rappresentano i segni lineari nella regione del collo e la linea che attraversa la linea dorsale? La figura emerge con grande evidenza sulla superficie del masso grazie all’effetto chiaroscurale. Paolo Graziosi, cui si deve la prima segnalazione nel 1961, definì questo prodotto figurativo “la più maestosa e felice espressione” dell’arte verista dell’area mediterranea. I suoi caratteri stilistici rientrano nei canoni dell’arte paleolitica franco-cantabrica. Si osservano il tratto vigoroso dell’incisione, le proporzioni della figura, la presenza dei particolari del muso, del sesso, delle zampe, i due corni disegnati per intero. Si possono fare confronti con incisioni francesi, per esempio quelle della Grotte de la Mairie à Teyjat.



SECONDO TORO

Un secondo bovide, di assai minori dimensioni, è stato inciso con tratto sottile tra le zampe dell’uro. Ha tre sole zampe appena iniziate, sul muso sono indicate con leggeri tratti la bocca e la narice.


TERZO TORO

Il terzo bovide, più in basso rispetto algli altri due, e' sullo stesso masso. Dopo un gruppo di segni lineari, c' è il profilo di una piccola testa di bovide, con un corno solo, incompleto, e con alcuni tratti paralleli sul collo, forse ad indicarne le pieghe.



La stuttura del pensiero, la stuttura del tempo


Quando ci avviciniamo a reperti di questo tipo, trasciniamo con noi tutti i nostri pregiudizi, le nostre forme mentali. Cerchiamo forme riconoscibili. Al contrario, dovremmo essere come bambini, e incontrare le forme mentali di altri.


Dovremmo guardare il cielo come facevano gli uomini, le donne, e i bambini di 10000 o 20000 anni fa. Questo ci renderebbe piu' umani.


Serve, in tale incontro con i reperti del passato, indagare l’inconscio dei nostri antenati, primi abitatori della terra, i quali esprimevano sensazioni, emozioni e sentimenti, e intanto scrutavano il cielo, per necessita'di sopravvivenza: sarebbe un’analisi dell’inquietudine, nella preistoria.


Scrutando il cielo, come facevano i sacerdoti, gli oracoli, i profeti, gli sciamani, gli astronomi dei primordi, i nostri antenati potevano conoscere passato, presente e futuro, non in senso astrologico, ma in relazione alle dinamiche celesti, dalle quali dipendeva la regolarità dei cicli cosmici brevi come il ciclo circadiano, come il ciclo lunare (che regola la fertilita' e l'umore delle donne), dei cicli stagionali come l’anno lunare e solare (che regola la migrazione degli animali e i cicli delle piante), ma anche estremamente lunghi come il grande anno del ciclo precessionale.


Cosa sapevano, nel paleolitico, di stagioni e cicli precessionali? Che relazione ha questo con il Toro del Lao? Una chiave di lettura innovativa, come quella paleo-astronomica, può mettere in luce conoscenze avanzate, criptate anche tra semplici pittogrammi. Seguitemi.



Lascaux, una rivoluzione delle nostre forme mentali


Lascaux (Dordogna -Francia) è un paesino nel sud della Francia, celebre per le vicine grotte in cui si conservano dei dipinti risalenti al Paleolitico. Le immagini non sono affatto semplici o rozze, ma sono tracciate con mano esperta e sicura, con un magnifico tratto fra lo stilizzato e la rappresentazione naturalistica. Le raffigurazioni sono moltissime, più di duemila.


Per anni, abbiamo pensato si trattasse 'solo' di espressione artistica. Sino al momento in cui Chantal Jègues-Wolkiewiez ha avuto una intuizione. Puntini apparentemente casuali appaiono corrispondere alle Pleiadi, l'occhio del toro ad Aldebaran, alfa dell'omonima costellazione. Ma chi ha raggruppato per primo le stelle in una costellazione, e quando?


Un'ipotesi strabiliante: le pitture di Lascaux rappresentano un planetario! Rappresentano una cosmogonia!



È così che l’archeologo tedesco Rappenglueck ha potuto riformulare l’interpretazione delle immagini dipinte nel “pozzo delle costellazioni” della Grotta di Lascaux risalenti al 16.500 a.C. ed è così che è possibile leggere anche i tori e i cavalli rotanti intorno ad un punto centrale, visibili nella stessa grotta, come costellazioni circumpolari; come anche il tumulto che anima gli animali (i tori e bisonti dipinti sulla volta del Sancta sanctorum di questo santuario paleolitico) come espressione visibile nel cielo delle oscillazioni anomale della terra nella fase d’instabilità ambientale corrispondente al periodo d’inizio della dissoluzione dei ghiacciai, dopo il massimo glaciale della Glaciazione Wurm, raggiunto nel 17.500 a.C.


Le immagini di Lascaux non possono essere interpretate semplicemente come espressioni di “realismo magico finalizzato alla propiziazione della buona riuscita della caccia”, adottando l’ipotesi dell’archeologo, antropologo e geologo francese abate Henri Breuil (1877-1961), già formulata per le pitture delle grotte paleolitiche di Lascaux e di Altamira, ma debbono essere interpretate come rappresentazione figurata degli scenari astrali e astronomici visibili nella calotta boreale dell’epoca, correlati alle condizioni ambientali (climatiche e atmosferiche) che si determinavano in quel momento sulla terra. Debbono essere interpretate quindi come “scene di caccia rituale”, rientranti nelle pratiche del culto astrale e finalizzate alla propiziazione del mantenimento dell’armonia nel cosmo e della vivibilità del nostro pianeta.


Risalendo all’indietro nel tempo, proprio attraverso la lettura paleo astronomica, le pitture realistiche del Paleolitico possono essere interpretate come trasposizione figurata delle mappe astrali o astronomiche per mezzo della rappresentazione antropomorfa e zoomorfa delle costellazioni.


Le pitture delle grotte dell’area franco-cantabrica del Paleolitico superiore precedenti la Grotta di Lascaux, sono: la Grotta Chauvet nell’Ardeche, in Francia, risalente ai 31.000 anni fa (la cui fauna è di tipo tropicale); quelle delle grotte risalenti al periodo compreso tra i 26.000 e i 17.000 anni fa, come quelle di Coussac, di Santander e di Altamira (che rappresentano una fauna del clima temperato); fino alla grotta spagnola di El Pendo, in Cantabria, (20.000-18.000 anni fa), che rappresenta il cervo quale animale delle latitudini inferiori (esistente sin dalla fase di passaggio dal Solutreano al Maddaleniano, prima di diventare specie prevalente nel clima temperato dell’Olocene, come attestano le pitture della Grotta dei Cervi di Badisco, in Puglia). Esse testimoniano delle alternanze climatiche specifiche delle stagioni precessionali di oltre seimila anni ciascuna.


Conoscevano le stagioni precessionali?!? La risposta e': si!



Il Mulino di Amleto


Frutto di un lungo lavoro di Giorgio Diaz De Santillana in comune con Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto apparve negli Stati Uniti nel 1969 e da Adelphi nel 1983. Giorgio Diaz De Santillana (Roma, 30 maggio 1902 – Beverly, 8 giugno 1974) è stato un fisico, storico della scienza, storico della filosofia, filosofo e accademico italiano naturalizzato statunitense, docente al MIT. Un uomo di scienza, un uomo di tecnologia, un uomo di lettere, di storia. Un genio. Un italiano, ovvio.


Il mulino di Amleto è uno di quei rari libri che mutano una volta per tutte il nostro sguardo sul mondo, e cambiano per sempre la nostra maniera di interpretarlo. Cambiano l'ídea che abbiamo di noi stessi.


Questo libro ha cambiato l' idea di mito e di « pensiero arcaico».


Chi leggera' il libro, si gettera' in un'avventura intellettuale, in viaggio per tutto il mondo, e sentirà alla fine che il viaggio è appena cominciato, e che siamo tutti in marcia su questo piccolo pianeta che ruota come un trottola. Avrà la prova che si possono ascoltare ancora oggi molte fra le storie più antiche, come i frammenti di un’unica storia, la storia di un grande ciclo precessionale, che attraversa millenni, rispetto ai quali noi non siamo quasi nulla, se non fosse per il fatto che proviamo meraviglia, comprendiamo, comunichiamo fra noi il senso di sgomento per un Universo cosi'piu' grande di noi. Ed è una storia inesauribile.


Cresciuti nella convinzione che la civiltà abbia progredito «dal mythos al logos», «dal mondo del pressappoco all’universo della precisione», in breve dalle favole alla scienza, ci troviamo qui di fronte a uno spostamento della prospettiva sconcertante in quanto è condotto da uno dei più eminenti illustratori del «razionalismo scientifico»: Giorgio de Santillana. Proprio lui, che aveva dedicato studi memorabili a Galileo e alla storia della scienza greca e rinascimentale, si trovò un giorno a riflettere su ciò che il mito veramente raccontava – e capì di non aver capito, sino allora, un punto essenziale. Nel «mulino di Amleto», gli autori seguono le tracce in un percorso vertiginoso, da Shakespeare a Saxo Grammaticus, dall’Edda al Kalevala, dall’Odissea all’epopea di Gilgameš, dal Rg-Veda al Kumulipo, vagando dalla Mesopotamia all’Islanda, dalla Polinesia al Messico precolombiano.


Alziamo dunque di nuovo gli occhi verso la fascia dell’eclittica, il luogo dove si svolgono gli avvenimenti mitici, il luogo dove si compiono i grandi peccati e le imprese eroiche, il luogo dove si è compiuto il dissesto originario, fonte di tutte le storie, che fu appunto lo stabilirsi dell’obliquità dell’eclittica. La Via Lattea perde il suo allineamento con l'eliacale.


Da quell’evento consegue il fenomeno di un mutamento delle stagioni, della fine dell'Eta'dell'Oro.


Un vortice cosmico. Il ciclo precessionale. Cicli di migliaia di anni, di cui gli uomini sono stati testimoni, e che hanno - con i loro mezzi - registrato per noi, posteri.


Il questo sbalordimento, in questa indagine dell'inconscio collettivo primordiale, non puo'esserci che una forma letteraria labirintica, di temeraria fuga musicale. L'Armonia del Cosmo si manifesta nella prosa di De Santillana, un genio.


Il Mulino di Amleto, il Toro, il Solstizio, la Valle del Mercure Lao


Il solstizio d'estate, il 21 di giugno, il sole sorge radente alla parete di roccia a Nord Est dell' incisione del Toro.


Questi sono fatti verificabili.


Lungo questa linea, incontriamo Laino Castello.


E' sorprendente, che piu'a sud, si trovi la Chiesa della SS Trinita', nel borgo diroccato di Avena, che ha coordinate


39° 52′ 59″ N, 15° 55′ 53″ E


Il solstizio d'estate, il 21 di giugno, la direzione del sole che sorge passa per la Chiesa della Madonna di Costantinopoli a Papasidero, passa per la Chiesa della SS Trinita', passa per Rotonda, passa per Viggianello.


Gli allienamenti, nella Valle del Mercure Lao sono sorprendenti.


Il sito della Madonna del Pollino, Viggianello, e Castelluccio Inferiore sono parte di questi allineamenti.


E' una casualita'? Quale storia vuole raccontarci questo Toro? Chi lo ha inciso? Come? A quale scopo? Si tratta forse di una maniera di segnare i solstizi, i lunistizi, e marcare il passaggio delle stagioni?


Le stagioni dell'anno possono essere misurate dalle posizioni all'alba e al tramonto del sole all'orizzonte. Nell'emisfero settentrionale, le due posizioni estreme sono: a sud, Solstizio d'inverno (giorno più breve / notte più lunga) e, a nord, Solstizio d'estate (giorno più lungo / notte più breve). A metà strada tra loro ci sono l'equinozio di primavera e l'equinozio d'autunno quando giorno e notte sono uguali.


Queste divisioni di base divisero l'anno in quattro parti. Dimezzare ognuna di queste parti ci dà altri quattro giorni speciali. L'origine di questi giorni speciali, si perde nell' antichita' della preistoria. I sedicesimi sono altri punti intermedi tra questi altri quattro giorni speciali. La scansione temporale che ne deriva e' di 23 giorni; per essere precisi, 22,8 giorni in media.


Come in un pendolo, per il sole, il tasso di cambiamento è maggiore al centro e più piccolo alle estremità. Le popolazioni preistoriche hanno guardato tutto con molta attenzione e hanno usato il profilo dell'orizzonte come strumento di misurazione.


I santuari, le pietre giganti, le cime di montagne segnano le direzioni, la via, le stagioni, la salvezza. Per ogni punto di riferimento, il nome di un santo.


Le posizioni di sorgere e calare della luna si muovono lungo l'orizzonte, da sud a nord e ritorno, nel corso di un mese tropicale (media di 27,32158 giorni). La causa principale di ciò è l'inclinazione dell'asse di rotazione della terra.


Il tasso di cambiamento è più veloce al centro e più lento alle estremità con lunistizi osservabili a sud e a nord, che di solito si verificano a intervalli di tredici / quattordici giorni.


La luna si muove rapidamente, e si alza circa 50 minuti dopo ogni giorno e gira intorno all'intera sfera stellare in un mese sideriale (27.32166 giorni ). La sua posizione tra le stelle segue generalmente l'eclittica ma, a causa dell'inclinazione di 5,15° dell'orbita lunare, è di solito da qualche parte, all'interno di una banda stretta (±5,15°), a sud o a nord di essa.


I punti in cui l'orbita lunare attraversa l'eclittica sono noti come nodi. I nodi (e quindi l'intera orbita lunare) ruotano retrogradi (all'indietro) con un periodo di 18,6 anni.


Quindi, mentre i solstizi si ripresentano regolarmente nelle stesse posizioni dell'orizzonte (entro una vita umana), i lunistizi seguono un modello ciclico che si espande e si contrae intorno alle posizioni del solstizio.


Pensate ora a quanto potrebbe essere utile avere caratteristiche paesaggistiche opportunamente posizionate come marcatori.


Oh! E'stato gia' fatto...! Come abbiamo potuto non accorgecene prima?




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Marisa Grande: "La conoscenza del cosmo”,ANXANEWS Numero 76 – luglio/agosto 2015












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